A cura di Sara Baretta
Giacomo Trevi nasce a Ferrara il 29 settembre 1916, da Ildebrando e Gaggia Forlì. (foto 1) Ha un fratello più piccolo, Giorgio, e due sorelle più grandi, Arduina e Magda. (foto 2)
La sua è una famiglia benestante, praticante ma non rigidamente osservante. Risiedono a Ferrara fin dal 1910, e sono noti per possedere un negozio di timbri e macchine da scrivere, nella centrale via Giovecca n° 22, vicinissimo al Castello.
Il padre, antifascista della prima ora, viene perseguitato duramente fino dal principio del regime per le sue idee liberali, e più volte il negozio è fatto oggetto di devastanti incursioni punitive.
Il giovane Giacomo, nonostante i sentimenti di antifascismo inizialmente moderati, percorre la strada dell’assimilazione, risulta infatti iscritto alle organizzazioni giovanili fasciste dal 1934 al 1938; il 28 maggio 1937 si arruola volontario nel Reggimento Lancieri Firenze con la ferma di due anni; il 16 giugno dello stesso anno viene prosciolto in seguito a rassegna dell’ ospedale militare di Bologna, per motivi di salute.
Tutto cambia il 5 settembre 1938, giorno in cui vengono promulgate le leggi razziali. Da quel giorno in poi la sua posizione nei confronti del fascismo diviene critica e militante, ed anche le sue frequentazioni, per lo più in ambiente comunista.
Nell’ ottobre del 1939 viene arrestato per essere stato sospettato del lancio di biglietti sovversivi avvenuto al teatro Verdi durante uno spettacolo del Trio Lescano. Incarcerato in regime di isolamento, viene alla fine prosciolto in quanto risulta provato che non era presente ai fatti. Liberato, tuttavia rimase oggetto di pedinamenti continui da parte degli informatori della Questura.
Una lettera datata 9 giugno 1940, a firma del prefetto de Suni, riassume i fatti ; il 22 ottobre 1939 ‘durante un’ operazione anticomunista eseguita dalla locale questura lo stesso fu fermato per essere amico di comunisti Fabbri Winther e Carletti Gino (…). Il 2 novembre ‘si dovette però procedere alla sua scarcerazione non essendo emersa a suo carico alcuna specifica responsabilità e perché non fu possibile accertare se egli fosse consapevole dell’attività sovversiva dei suoi amici. Nonostante la detenzione (…) non ha desistito ad accompagnarsi ad individui sospetti e non è improbabile che in caso di guerra manifesti più apertamente i propri sentimenti svolgendo propaganda antifascista . Pertanto questo ufficio propone che il medesimo, in caso di emergenza venga allontanato da questo capoluogo e tradotto in un comune dell’ interno’.1
La sua sorte è così segnata, alla vigilia dell’ entrata in guerra dell’Italia; viene arrestato in piazza Ariostea, luogo di ritrovo e di passeggio, ed incarcerato.
Il 18 giugno 1940 il Ministero dispone l’internamento nel campo di concentramento di Campagna (Salerno) secondo ‘giusta disposizione 447/0365’, numero di pratica che lo seguirà in ogni suo futuro spostamento di campo in campo, per quasi tre anni, da uomo non più libero. (foto 3)
Il 25 giugno 1940 alle 21,30 è messo in traduzione per Campagna dove giunge il 26 giugno, in compagnia di Raoul Da Fano, Amato Hirsch (Renato) e Gastone Rocca, anch’essi ebrei ferraresi.
Agli internati, se indigenti, veniva corrisposto un sussidio di lire 6,50; così come certificato dal brigadiere Gusmano ‘l’ebreo Trevi Giacomo non si trova in condizioni finanziarie tali da potersi mantenere durante il periodo di tempo dell’isolamento’.2
Il 27 luglio a rettifica viene disposto che Giacomo Trevi venga internato a Gioia del Colle (Bari); partirà il 14 agosto per giungere il giorno successivo, 15 agosto.(foto 4)
Il 16 gennaio 1941 viene infine tradotto ad Isola di Gran Sasso (Teramo).
I tentativi burocratici messi in atto da Giacomo e dalla sua famiglia per riguadagnare la libertà falliscono; il 26 aprile 1941 la madre fa domanda perché venga revocato il provvedimento di internamento, domanda puntualmente diniegata dal ministero dell’ interno, nonostante una nota del questore Luigi Gusmano di Ferrara, nella quale riferiva che: ‘dalla voce pubblica non risulta che il Trevi Giacomo sia persona pericolosa (…) e pertanto la revoca del provvedimento di internamento a suo carico verrebbe accolta con indifferenza dalla cittadinanza locale ariana’.3
Sempre il 26 aprile chiede di essere arruolato nell’esercito, domanda respinta il 16 maggio con nota del ministero dell’ interno.
Giacomo non potrà mai allontanarsi neanche un giorno dai campi nei quali di volta in volta verrà internato, ogni richiesta di licenza presentata verrà puntualmente negata e respinta; tuttavia riceve la visita della madre e della sorella, con la nipotina. La domanda della di lui madre, datata 7 maggio 1941, affinché venga ‘concesso il permesso di andare a trovare il figlio e perché sofferente di cuore accompagnata dalla figlia Arduina Trevi e dalla nipotina Franca di anni due e mezzo’, troverà accoglimento il 23 maggio, ‘per un periodo di giorni quattro’.4
Il 23 agosto 1941 viene deciso il suo trasferimento da Isola di Gran Sasso alle Tremiti, i motivi sarebbero da rintracciarsi nell’ intento di infliggere una punizione esemplare , come risulta da una nota del 15 agosto del direttore del campo di concentramento: ’L’internato in oggetto, da qualche tempo, dà molestia alle donne che frequentano il santuario di San Gabriele. Richiamato più volte, dimostra di essere incorreggibile. Il suo carattere è molto leggero e strafottente. Ritengo sia necessario il suo sollecito allontanamento da questo campo per dare agli altri internati una tangibile prova della severità con cui sono vigilati e all’ occorrenza puniti’ .5
L’ 8 settembre del 1941 viene infine tradotto alle Tremiti (Foggia). (foto 5)
Il campo alle Isole Tremiti, scarsamente servita dalla terra ferma, è un luogo di regime duro e di isolamento assoluto. Racconterà Giacomo, in una sua intervista,6 di avere sofferto per la prima volta in vita sua veramente la fame, e di avere aspettato per ben ventisette giorni che arrivassero i rifornimenti di viveri via mare. Racconterà di avere visto mangiare topi e cani, mentre lui era invece sopravvissuto grazie ad erbe selvatiche e bucce di patate.
L’unico svago concesso era la corrispondenza con i genitori, non senza che il direttore della colonia prima si informasse presso la questura di Ferrara per avere informazioni ‘specie in linea politica’ nei riguardi dei genitori, con i quali egli aveva espresso l’ intenzione di corrispondere. Il permesso viene concesso, in quanto il padre: ‘in passato professò idee sovversive, ma non consta che abbia svolto attività politica (..) pertanto si esprime parere favorevole perché tra di loro avvenga lo scambio della corrispondenza’.7
Nel frattempo, nel 1942, i genitori ed il fratello Giorgio e le sorelle, Magda ed Arduina, entrambe sposate ad uomini cattolici, abbandonano Ferrara e si trasferiscono a Firenze. Giorgio trova impiego presso un pastificio locale.
Il 23 luglio 1942 viene tradotto ad Urbisaglia, (foto 6, foto, 7) dopo che innumerevoli richieste di trasferimento erano cadute nel vuoto; ora è più vicino ai famigliari rifugiati a Firenze; potrà rivederli nel febbraio del ’43 dopo che avranno ottenuto un permesso di soli due giorni, dal 13 al 15 del mese.
Infine, il 3 aprile 1943 viene prosciolto, per atto di clemenza (foto 8, foto 9), ‘di conseguenza egli è stato oggi stesso inviato in famiglia, munendolo di mezzi e fogliovia, con l’ obbligo di presentarsi alla Questura di Firenze nel termine di giorni due’.8
Si trasferisce a Firenze con i genitori, dove risulta domiciliato in via Locatelli n° 49. Ma neanche lì è in pace, e continua ad essere controllato; il 18 maggio 1943, il questore di Firenze scriveva alla questura di Ferrara: ‘si prega comunicar i pregiudizi a carico dell’ individuo in oggetto, di recente prosciolto dall’ internamento per atto di clemenza del Duce’. La risposta della questura di Ferrara è rassicurante, non risulta niente di rilevante a suo carico.9
Arriva il 25 luglio, Mussolini viene destituito, tutto sembra andare per il meglio, ma l’otto settembre è alle porte; quando a Firenze giungono le forze di occupazione tedesche, la famiglia sfolla a San Baronto in provincia di Pistoia. Giacomo e il fratello si traferiscono in val di Chiana; lì fanno gli assicuratori sotto falsa identità, e la vita ha ancora una parvenza di normalità.
Il 27 gennaio del 1944 le cose precipitano; in seguito ad una delazione, il padre Ildebrando quasi settantenne, viene arrestato dai repubblichini ed inviato al campo di concentramento di Fossoli (Modena), luogo divenuto l’ anticamera unica della morte, lo snodo principale di partenza dei convogli per i campi di sterminio nazisti.
Da qui, il 22 febbraio, Ildebrando viene tradotto ad Auschwitz con il convoglio n° 8, dove arriva il 26 febbraio 1944, e lo stesso giorno verrà ucciso. Il suo nome ora compare nella lapide a memoria eretta sulla parete della Sinagoga ebraica in via Mazzini n° 95 a Ferrara, incluso nell’ elenco delle 97 persone che non fecero mai ritorno dai campi di sterminio. Il suo nome viene aggiunto per ultimo, in ordine non alfabetico, probabilmente perché della sua triste sorte se ne era avuto notizia solo dopo che la lapide era già stata inaugurata, il 24 aprile 1949. (Foto 10)
Sopravvive invece la madre Gaggia, che, in quanto malata, avrebbe dovuto essere prelevato dalla guardia repubblicana il giorno successivo dell’arresto del marito, ma viene messa in salvo durante la notte dal di lei genero.
Giacomo decide di spostarsi verso sud, con l’intento di raggiungere Roma, in attesa del passaggio del fronte. Verrà fermato dalle SS, ma si salverà grazie a documenti di identità falsi.
Sulla strada per Roma incontra degli amici ferraresi gappisti, ed una volta giunto in città presta servizio in uno dei Gruppi di Azione Patriottica operanti nella capitale, insieme al fratello Giorgio. Si occupano di azioni di resistenza passiva, in particolare del lancio di volantini anti fascisti e nazisti.
Il 23 marzo del 1944 i due fratelli si trovavano nei pressi di via Rasella nel momento dell’ attentato; una ritaglio di giornale conservato dallo stesso Giacomo ci mostra, evidenziati con una freccia, i due fratelli inermi, con le braccia alzate, ed un militare nazista della Polizeiregiment “Bozen”, con il mitra in mano, nei momenti susseguenti lo scoppio dell’ ordigno. In calce è segnata l’ ora: 15,52, il momento esatto dell’ esplosione. Lui e Giorgio si salvano miracolosamente dal rastrellamento; un uomo vicino a loro aveva tratto dal bavero un diamante, o un gioiello di valore, per corrompere i carnefici, ed i due fratelli avevano approfittato dell’attimo di distrazione per fuggire. Correvano talmente veloci che Giacomo aveva ricordato, nei suoi rari racconti del periodo bellico, che ‘si tirava le pedate nel sedere da solo’. (foto 11)
Finalmente la guerra finisce, e Giacomo, di nuovo uomo libero, ha modo di tornare a San Baronto, dove si mette alla ricerca del maresciallo dei Carabinieri che aveva denunciato il padre. Porta con sé un’arma, ma non l’aveva usata, forse perché in ultimo gli era mancato il coraggio di sparare, forse perché voleva solo guardare un attimo negli occhi l’assassino morale del padre, per poi guardare di nuovo avanti, verso il futuro.
Il 26 ottobre del 1945 si trova Ferrara, come risulta da una nota della Questura, dove esercita la professione di commerciante, sempre a quella data la madre risulta ancora sfollata a Firenze.
Nell’ immediato dopoguerra si trasferisce a Bologna, il fratello Giorgio e la sorella Magda a Roma, solo Arduina rimane a Ferrara, e più precisamente a Tresigallo, dove il marito è medico condotto del paese.
Eserciterà varie professioni, tra le quali sarà il titolare di una piccola azienda di prodotti chimici, e di una drogheria in centro; nel 1958 avrà dalla propria compagna, Loredana Orsi, un figlio, che chiamerà Ildebrando come il padre. (Foto 12, foto 13)
Nel 1994 ottiene la cittadinanza onoraria di Urbisaglia (foto 14)
Giacomo Trevi muore il 24 maggio 1995, ed è sepolto nel cimitero ebraico di Bologna.
Note
- A.S.Fe, Archivio di Stato di Ferrara, categoria A8 Ebrei, busta 7 fascicolo 154.
- Ibidem.
- Ibidem.
- Ibidem.
- Ibidem.
- CDEC, Centro Documentazione Ebraica, digital library, alla voce Giacomo Trevi, registrazione audio..
- Ibidem.
- Archivio Storico di Urbisaglia.
- A.S.Fe, Archivio di Stato di Ferrara, categoria A8 Ebrei, busta 7, fascicolo 154.