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Il campo di Urbisaglia

Il campo di Urbisaglia

Il campo di internamento di Urbisaglia, allestito presso Villa Giustiniani Bandini all’Abbadia di Fiastra, entrò in funzione il 16 giugno 1940.

Il Ministero degli Interni convogliò a Urbisaglia internati per motivi di polizia (antifascisti e civili italiani considerati pericolosi), per motivi di guerra (sloveni, dalmati e croati sospettati di sostenere la guerra partigiana) e per motivi razziali (ebrei tedeschi, polacchi, ex cecoslovacchi ed ex austriaci). Nel tempo in cui rimase operativo, il campo di Urbisaglia contò il passaggio di circa 400 persone.

Nella testimonianza rilasciata dal medico austriaco Paul Pollak si legge che gli internati «abitavano tre piani; al piano terreno c’erano due saloni, al primo piano diversi grandi locali, capaci di ospitare fino a 16 persone e al secondo e terzo piano, che erano originariamente alloggi per la servitù, si trovavano delle camerette, dove abitavano solo da due a cinque persone. (…). Un bel parco, ben curato, posto davanti alla casa, faceva la gioia degli internati, che vi potevano passeggiare, riposarsi o lavorare, e conteneva perfino un campo per il gioco delle bocce. (…). Il numero d’internati si aggirava sempre sul centinaio. (…).»  

Bruno Pincherle (medico e storico della medicina, morto nel 1968), alloggiato nelle soffitte assieme a un gruppetto di altri antifascisti italiani,  racconta che le giornate al campo trascorrevano nell’assistenza ai compagni più sfortunati e nello scambio vicendevole di lezioni di lingua italiana, tedesca e inglese. Paul Pollak stesso tenne regolarmente conferenze su argomenti di medicina e ebbe il permesso di allestire un’infermeria interna al campo. 

Grazie anche allo spirito di solidarietà che animava gli internati, accomunati dall’incertezza sul proprio avvenire e dall’angoscia per la sorte dei propri congiunti, nel campo si verificarono pochissimi episodi di insofferenza. Gli internati ebrei non subirono discriminazioni e poterono continuare a partecipare alle celebrazioni delle varie ricorrenze religiose trasformando in Sinagoga una stanza del palazzo.

Gli arrivi e le partenze degli internati al campo di Urbisaglia si susseguirono fino all’8 settembre 1943, giorno in cui il Direttore stesso del campo invitò gli internati a fuggire. Il terrore di essere catturati dai tedeschi, però, insieme alla mancanza di denaro, di documenti e di conoscenza dei luoghi, indusse molti a ritornare nel campo dopo pochi giorni, anche perché il Questore di Macerata, che intimava il rientro, garantiva che gli internati civili non avrebbero avuto nulla da temere.

In realtà, nei mesi successivi, gli internati di Urbisaglia, insieme a quaranta donne provenienti dai campi femminili della provincia di Macerata, furono trasferiti al campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena, e da lì deportati nei campi di sterminio tedeschi.

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