RENZO BONFIGLIOLI (1904- 1963)
Renzo Bonfiglioli, ebreo antifascista di Ferrara, giunse al Campo di Urbisaglia Bonservizi con il primo gruppo di internati la sera del 16 giugno 1940. Lasciò il Campo il 14 agosto 1941 per ricovero in una casa di cura di Bologna.
Estratto da: Bruno Pincherle, Testimonianze su Renzo Bonfiglioli: Palazzo Paradiso 23 febbraio 1964. Ferrara, Tipografia Sociale, 1964, pp. 62-68.
“Arrestato assieme a Renato, Renzo era stato trasportato in un campo di internamento delle Marche, a Badia di Fiastre [N.d.C.: per Abbadia di Fiastra], dove era stato relegato anche mio fratello. Dopo qualche mese fui trasferito colà e da allora che data la nostra amicizia.
Il distacco dalla moglie e dai figli, la lontananza del padre gravemente ammalato, la stessa vita collettiva del campo rendevano, nei primi tempi, a Renzo particolarmente penosa quell’esistenza tanto diversa dall’abituale. Eppure, il campo di Badia di Fiastre non aveva nulla in comune con i campi di concentramento che anche il nostro paese ha conosciuto dopo il settembre ’43. Era una vecchia villa dei Giustiniani-Bandini, vasta e rimasta a lungo disabitata, con grandi saloni affrescati nel soffitto e nelle pareti e, ora, gremiti fino all’inverosimile dai lettini da campo dei confinati. Tutto attorno, c’era un giardino circondato da un muro che ci isolava dal resto del mondo. Durante la prima guerra mondiale, erano stati rin- [pag. 65] chiusi in quella villa ufficiali nemici caduti in prigionia. I profughi tedeschi ed austriaci, nostri compagni di detenzione, scoprivano ogni tanto, segnati su qualche parete, nomi familiari. Renzo e mio fratello, portati tra i primi in quel campo, si erano allogati alla meglio nelle soffitte, assieme a un gruppetto di altri antifascisti italiani. Le stanzette erano squallide ed anguste; di inverno la neve si infiltrava tra le travi del tetto e l’acqua trasudava lungo le pareti. Ma, per compenso, la vista spaziava di lassù sui dolci colli marchigiani e vi si godeva una libertà quasi completa perché i
poliziotti salivano raramente fino a noi. Se nel corso della giornata l’assistenza ai nostri compagni più sfortunati e lo scambio vicendevole di lezioni prendevano buona parte del nostro tempo, le lunghe serate – quando per il resto del campo era suonata, ormai la ritirata – le trascorrevamo a chiacchierare, a discutere, o a leggere raggruppati attorno a una stufa di mattoni che avevamo costruita noi stessi all’ingresso della soffitta e che il pittore Carlo Veneziani aveva decorato con le nostre caricature.
C’erano, fra gli antifascisti della soffitta, i milanesi Umberto Segre, Dino Luzzatto, Giorgio Ottolenghi, Eucardio [pag. 66] Momigliano, i livornesi Renzo Cabib e Paolo Corcos, il romano C. A. Viterbo, il genovese Peppino Levi Cavaglione, i triestini Alfredo Morpurgo e Vittorio Macchioro, i cari amici ferraresi Ivo Minerbi, Renato Melli, Renzo Sinigallia, Carlo Hanau con i due figli. Il vostro Nino Contini era già stato “tradotto” alle Tremiti in punizione di essersi opposto alle soperchierie di un Commissario di polizia.
Non fu facile, nei primi tempi, procurarsi libri. Al mio arrivo, mi furono sequestrate le opere dello Shakespeare perché, secondo il giudizio di chi ci aveva in custodia, egli era uno “straniero appartenente a nazione nemica”. Ma, come spesso succede nel nostro Paese, anche quei drastici divieti andarono attenuandosi col tempo. Per la naturale pigrizia dei nostri censori, i libri continuarono a fare una lunga sosta nei loro uffici, ma finivano poi, quasi sempre, coll’esserci consegnati senza che quelli avessero neppure dato un’occhiata. Come non cedere allora alla mia vecchia passione di bibliofilo? Scrissi, e librai an- [pag. 67] tiquari ripresero a mandarmi i loro cataloghi. Quando, sdraiato sul mio lettino, sfogliavo lentamente un catalogo, dimenticavo quasi d’essere un prigioniero (e, per di più, appartenente ad una razza inferiore) e l’impaziente attesa del libro richiesto mi ridava – per qualche giorno – quell’altalena di speranze e timori che tutti i bibliofili conoscono. Un pomeriggio, mi arrivò un pacchetto che conteneva, un’opera lungamente, e invano, cercata per anni. Renzo, al vedere la mia gioia, sentì che anche la bibliografia ( o – se vogliamo usare la parola esatta – bibliomania) poteva essere una forma di evasione, una maniera di andare (pur essendo rinchiusi) “à la chasse au bonheur”. Così, egli mi chiese d’introdurlo nel misterioso gergo dei cataloghi e d’insegnargli la maniera di trasformare quelle scarne
informazioni in immagini vive. I primi libri che egli acquistò furono di storia ferrarese, quasi sperasse di trovare in quei vecchi volumi una visione serena da sovrapporre a quella della Ferrara che lo aveva perseguitato e messo al bando. E fu, aggirandosi nella magica rossa Ferrara del primo Cinquecento, che Renzo incontrò (forse per la prima volta dopo aver lasciato i banchi di scuola) il suo Ariosto.
[pag. 68] Ha il suo atto di nascita nelle squallide soffitte di quel campo di internamento la sontuosa Raccolta Ariostea di Renzo Bonfiglioli, oggi, forse, la più completa che esista perché comprende, a cominciare dalla prima stampa ferrarese del Furioso, con poche esclusioni, tutte le successive edizioni del poema fino ai più recenti testi critici. E accanto a questi esemplari – tutti di una eccezionale bellezza – figurano in quella raccolta traduzioni nelle varie lingue e adattamenti nei diversi dialetti, fonti e derivazioni del Poema e una collezione quasi completa delle stampe delle Commedie e delle opere minori.
Ma non è soltanto la Raccolta Ariostea che nacque in quei mesi. Renzo cominciò, fin d’allora, a collezionare edizioni originali dell’Ottocento italiano, che ancora pochi ricercavamo e che sono poi diventate così rare. E fu – lo ricordo – un giorno di festa per lui (e per me) quello in cui gli arrivò un esemplare unico de I Promessi Sposi impresso su carta paglierina, fatto sontuosamente rilegare dal Manzoni stesso in marocchino rosso e arricchito da una sua dedica alla nipote Luisa e da un ritrattino a matita tracciato da Massimo d’Azeglio.

[pag. 69] Quando, per ragioni di salute, Renzo dovette lasciarci, trasferito, sempre sotto la sorveglianza della polizia, in una casa di cura bolognese, faticammo non poco, assieme alla Signora Ida (che tanto spesso veniva a visitarlo con i due figli, allora bambini) per disporre nelle casse i molti volumi preziosi che aveva raccolti in quei mesi.
Venne l’8 settembre. Allorché, a guerra finita, ci rivedemmo, fascismo e nazismo erano caduti, ma quanti lutti nelle nostre famiglie, quanti amici e compagni scomparsi in quella lotta! Erano arrivati ora gli anni delle grandi speranze, ma sentivamo, ambedue, che la Resistenza non era conclusa. Sempre un po’ solitario, staccato dalla vita dei partiti, Renzo aveva scelto con chiuso fervore il suo posto di battaglia accanto agli uomini della Sinistra e si occupava, nello stesso tempo e con straordinaria attività, della riorganizzazione delle comunità ebraiche disperse dalla bufera.
Quella terribile bufera aveva sconvolto anche le piccole cose: la mia biblioteca era scomparsa; la sua si era ridotta di molto. E il [pag. 70] Manzoni, il bellissimo impeccabile Manzoni, mostrava ora la sontuosa rilegatura e le pagine guaste dall’acqua penetrata nella cassetta di ferro nella quale era stato troppo a lungo sepolto per sottrarlo alle rapine fasciste.”
Per una biografia di Renzo Bonfiglioli vedi anche:
Dorigatti, Marco “Le vite di Renzo Bonfiglioli” Ferrara. Voci di una città, 31 (2009).
Il 27 gennaio 2007 il Consiglio Comunale di Urbisaglia ha conferito alla vedova Ida (Lili Ascoli Magrini Bonfiglioli) la cittadinanza onoraria di Urbisaglia. Alla cerimonia hanno partecipato sua figlia Dory e suo nipote Ariel Bonfiglioli (vai alla Gallery della cerimonia)
Vedi anche: