NINO CONTINI (1906-1944)
di Bruno Contini
Mio padre, Nino Contini, era un giovane e brillante avvocato di Ferrara, nonché esponente della gioventù ebraica locale. Nel 1934 aveva organizzato un comitato di soccorso per i giovani correligionari espulsi dal territorio germanico e curando la loro emigrazione in Palestina.
Nei primi mesi del 1940, il governo si preparava ad affrontare l’ingresso dell’Italia in guerra. Il controllo degli orientamenti politici degli ebrei italiani diventava un problema di crescente importanza legato alla più ampia questione della sorveglianza degli elementi ebrei e non ritenuti sospetti e pericolosi.
Nino era già seguito dalla questura. Il 2 giugno 1940 la prefettura di Ferrara inviò a Roma una lunga relazione in cui erano presenti tutti gli stereotipi antisemiti:
Il Contini divenne allora il legale di fiducia di numerosi israeliti e fu preferito ad altri avvocati ebrei professionalmente più capaci, ma meno disonesti di lui, in quanto la sua astuzia, i suoi sentimenti giudaici e le stesse conoscenze di individui della stessa razza contratte all’estero gli consentirono di curare la situazione di quelli che intendevano abbandonare il territorio nazionale e di preparare abili simulazioni al fine di eludere tutte le restrizioni imposte dalla legge a carico degli israeliti. (..)
Secondo una segnalazione fiduciaria pervenuta da Modena il Contini ed alcuni altri ebrei, suoi amici, sarebbero stati i promotori, nel periodo della guerra anticomunista di Spagna, di una sottoscrizione in favore dei miliziani rossi.
……. La sua presenza in questa città dove i suoi sentimento sono molto noti….. non sarebbe ritenuta opportuna, potendo essa suscitare incidenti e conseguentemente essere causa di turbamento dell’ordine pubblico.Pertanto, questo Ufficio propone che, in caso di emergenza, il suddetto CONTINI venga allontanato dalla sua abituale residenza e confinato in un Comune di terraferma.
Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania e il giorno successivo il prefetto ricevette da Roma l’ordine di internare Contini nel campo di Urbisaglia dove sarebbe stato portato cinque giorni più tardi dopo aver passato qualche giorno nelle carceri cittadine, in via Piangipane:
La prefettura di Ferrara sollecitò complessivamente 32 internamenti 21 dei quali a carico di ebrei, mettendo in luce una sperequazione nettissima dell’incidenza dell’internamento sulla minoranza ebraica rispetto alla popolazione italiana nel suo complesso.
Un internato ad Urbisaglia scriveva alla moglie: “C’è una cospicua colonia di giovani ferraresi” Vi vennero mandate molte personalità di spicco del mondo ebraico italiano fra cui Raffaele Cantoni e Carlo Alberto Viterbo, nonché un grande amico di Nino, Renzo Bonfiglioli.
L’internamento comportava una privazione della libertà di azione e di movimento, per ogni spostamento era necessario chiedere un permesso e anche per poter essere visitati dai propri parenti si doveva intraprendere una lunga trafila burocratica.
Nino, come tutti gli altri internati, chiese i permessi per ricevere visite della moglie e per poter andare a difendersi in un processo che si sarebbe svolto a Milano (e da cui fu, due anni dopo in pieno periodo bellico, assolto con formula piena). Con il suo spirito vivace e polemico, non tardò però a farsi carico della questione più generale di come erano trattati gli internati. Il prefetto di Macerata, già all’inizio di agosto ne chiedeva il trasferimento:
L’ebreo in oggetto (…) specie da quando i numero dei suoi correligionari è notevolmente aumentato, non tralascia occasione alcuna per erigersi a tutore e patrocinatore dei loro interessi creando fallaci illusioni, alimentando speranze e turbando, con la sua loquacia di leguleio, il normale andamento del campo.
E va cianciando di metri cubi d’aria proporzionati alla capacità dei dormitori, di dotazione di altro mobilio, di assistenza sanitaria, di infermeria, di locale di isolamento, di medicinali, di ambulatori, di locali di riunione per preghiere e di altri diritti che, a suo giudizio, spetterebbero agli internati, in analogia a quando dispone, per i confinati politici, il nuovo Regolamento di PS di cui egli ha trovato modo di venire in possesso.
Insiste perché agli internati venga concessa la libera uscita, e perché sia favorita la costituzione di una forma cooperativa fra loro per poter provvedere direttamente al vitto, in sostituzione dell’attuale sistema di appalto. Cita articoli del Regolamento e, quel che è peggio, assicura risultargli che in altri campi di concentramento tutto ciò è consentito.
In sostanza, profittando dell’ascendente che ha fra gli altri ebrei, favorito com’è da una certa intelligenza, ed animato da uno spirito irrequieto e battagliero, il Contini costituisce un pericolo per l’ordine e la tranquillità.
Pochi giorni dopo Nino fu trasferito alle Tremiti, nell’isola di San Domino, fino a che, all’inizio del 1941 fu nuovamente trasferito a Pizzoferrato, un piccolo paese di montagna in provincia di Chieti.
Là ebbe il permesso che la sua famiglia, la moglie Laura e due bambini, Bruno e Leo, lo raggiungessero. Nella primavera del 1943 venne nuovamente trasferito a Cantalupo del Sannio (Campobasso). Da qui, dopo l’8 settembre, la famiglia riparò in un rifugio a Campitello Matese per sfuggire alle retate tedesche. In novembre gli alleati raggiunsero i paesi della pianura e i Contini tornarono nella misera residenza di Cantalupo, fino a che, poco dopo, riuscirono a raggiungere Napoli liberata. A Napoli Nino riprese l’attività di avvocato presso le corti alleate e ancora una volta si dedicò alla riorganizzazione della vita ebraica della città. Tornò a una intensa vita politica nel Partito d’Azione, ma una malattia allora incurabile lo stroncò nel ottobre 1944 non ancora trentottenne.
Il 27 gennaio 2013 il figlio di Nino Contini, Bruno, ha visitato il Campo di Urbisaglia ed ha presentato i libro Nino Contini (1906-1944): quel ragazzo in gamba di nostro padre: diari dal confino e da Napoli liberata, Firenze, La Giuntina, 2012.