L’8 settembre 1943 per gli internati di Urbisaglia
L’8 settembre rievoca l’armistizio e la resa dell’Italia proclamata l’8 Settembre 1943, una sorpresa per tutti gli italiani, compreso quelli che militavano nel nostro esercito a fianco dei tedeschi del terzo Reich nazista a nord della linea Gustav, che si trovarono da un momento all’altro gli alleati nel ruolo di nemici.
La linea difensiva dei tedeschi, linea Gustav, che univa Montecassino con la foce del fiume Garigliano sul Tirreno e con la città di Ortona, poco a sud di Pescara, venne sfondata dagli alleati sul lato dell’Adriatico a fine del 1943, mentre Ortona, nonostante lo sbarco di Anzio del gennaio 1944, sarà liberata soltanto a maggio, aprendo la porta alla liberazione di Roma avvenuta il 4 Giugno.
Urbisaglia rimase sotto la dominazione nazifascista del Centro e Nord Italia, nella Repubblica sociale di Salò, nella quale i nazisti avevano imposto un Governo fantoccio con a capo Mussolini, dopo che era stato deposto il 25 Luglio 1943 e poi liberato dai tedeschi a metà Settembre. La vicinanza di Urbisaglia alla linea del fronte la rese più partecipe alla guerra degli eserciti regolari e a quella partigiana.
La disfatta dell’esercito tedesco, italiano e giapponese era già una realtà evidente su tutti i fronti, ma l’ostinazione folle di Hitler, di Mussolini e dell’Imperatore giapponese portò a prolungare la guerra e ad aggiungere distruzione e morte per altri milioni di persone.
Per quanto riguarda gli internati del campo di Urbisaglia, se dal 25 luglio avevano cominciato a sperare in una prossima liberazione, nei giorni successivi all’8 settembre 1943 furono tormentati dalla minaccia dell’occupazione tedesca. Una lettera del Prefetto di Macerata al Ministero degli Interni, datata 18 settembre, testimonia il clima di terrore che si respirava in quei giorni di incertezza:
Il 16 corrente gli ebrei apolidi rimasti internati nel campo di concentramento di Urbisaglia, in numero di 35, avendo notato il passaggio di truppe tedesche, e temendo che il campo venisse da loro occupato, come lo è stato quello dei prigionieri di guerra inglesi, eludendo la vigilanza riuscivano a scavalcare il muro di cinta e ad evadere. Alcuni sono, poi, a sera, rientrati, spontaneamente, mentre altri sono stati riaccompagnati nel campo dai CC. RR. della stazione di Urbisaglia dove erano rifugiati. È tale ormai la psicosi del terrore di capitare nelle mani dei tedeschi che riesce ben difficile calmarla. Lo stesso terrore ha invaso anche il personale di servizio, per cui non si può garantire il funzionamento dei servizi inerenti al vettovagliamento e a quanto altro occorra. Il Prefetto.
Il terrore di essere catturati dai tedeschi, insieme alla mancanza di denaro, di documenti, di conoscenza dei luoghi e della lingua italiana, indusse molti degli internati stranieri a ritornare nel campo dopo pochi giorni, anche perché il Questore di Macerata, che intimava il rientro, garantiva che gli internati civili non avrebbero avuto nulla da temere. La relazione quindicinale sulle presenze nel Campo, datata 30 settembre 1943, contava la presenza di cinquantotto internati.
Lo stesso giorno un camion condotto da un ufficiale fascista italiano e scortato da soldati tedeschi entrò nel Campo di Urbisaglia per trasferire gli internati nel Campo di Sforzacosta dal quale, nei mesi successivi, vennero trasferiti al campo di concentramento di Fossoli, in provincia di Modena, e successivamente deportati verso i campi di sterminio.
Nelle Marche la guerra partigiana durò parecchi mesi perché l’avanzata degli Alleati si impantanò sulla linea Gustav. In tutto quel periodo la popolazione dei residenti mostrò solidarietà ai partigiani nascondendoli e nutrendoli, ben sapendo il rischio di morte che correvano, loro e i loro familiari. Gli abitanti di interi paesi montani che ospitavano i ricercati dovevano essere tutti d’accordo per proteggere queste persone dalle SS tedesche e dai fascisti, poiché sarebbe bastata la delazione di un solo residente per mandare al muro tutti coloro che nascondevano o aiutavano i “ribelli”. Dai miei genitori ho appreso che persino un aviatore alleato salvatosi col paracadute dall’abbattimento del suo aereo, afroamericano e quindi ben distinguibile dal colore della pelle, venne nascosto e protetto dai residenti.
Questo “eroismo quotidiano” di cui ho parlato nel gennaio 2019, nel corso del ricordo che l’Amministrazione Comunale ha voluto dedicare a mio padre, Primo Ugo Hanau, internato a Urbisaglia, resta a onore e vanto delle nostre popolazioni che meritano di essere ricordate alle nuove generazioni. A loro il compito di imparare dalla storia per evitare di ricadere negli errori e orrori del passato.
Prof. Carlo Hanau
Già docente di Programmazione e Organizzazione dei Servizi Sociali e Sanitari all’Università di Modena e Reggio Emilia e all’Università di Bologna